Il Rise-Up! 3.0 è stata un’esperienza che mi ha lasciato un segno profondo, qualcosa di unico rispetto ad altri momenti vissuti in passato. L’ho scoperto grazie ai frati del centro vocazionale dei Frati Minori di Puglia e Molise, che con la loro passione e attenzione mi hanno sempre ispirato a mettermi in gioco. Anche questa volta ho sentito che poteva essere l’occasione giusta per guardarmi dentro e affrontare questioni che da tempo evitavo.
Ho scelto di intraprendere questo cammino come prosieguo della bellissima esperienza della “Marcia francescana” che ho vissuto questa estate. Si è accesa in me come una fiamma, che continua a brillare, spingendomi a cercare qualcosa di più profondo dentro di me e nel mio rapporto con Dio. La Marcia Francescana mi ha fatto scoprire una parte di me che avevo trascurato: il desiderio di autenticità, di vivere con più semplicità e verità. Questo cammino del Rise-Up è stato come gettare legna su quel fuoco, alimentando la mia voglia di crescere, di affrontare le mie fragilità e di trovare una serenità più radicata.
Il percorso si è svolto in un clima di accoglienza sincera. Fra Fabrizio, fra Gianfranco e le suor “Valerie” ci hanno accompagnati con una dedizione e una semplicità disarmanti. Bastavano piccoli gesti, come un caffè caldo o le ciambelle offerte durante le pause, per farmi sentire a casa. Questo mi ha permesso di lasciarmi andare, anche nelle attività più intime e difficili. È stato un po’ come entrare in una casa familiare, dove non tutto è perfetto, ma dove ti senti accolto con i tuoi pregi e le tue fragilità.
Il brano della Guarigione dell’emorroissa (Mc 5, 25-34) è stato il filo conduttore dell’intero cammino. Mi ha colpito per la forza di questa donna, che dopo anni di sofferenza trova il coraggio di avvicinarsi a Gesù e lascia che un semplice gesto cambi la sua vita. Mi sono sentito chiamato a riflettere su cosa, nella mia quotidianità, rappresenta quella sofferenza e quali “medici” cerco per alleviarla, spesso senza risultati. Mi sono chiesto quali siano i colpi che la vita mi ha inflitto e come sto reagendo a essi.
Cosa mi dà vita e cosa me la toglie? Questa è stata la domanda che mi ha risuonato per tutto il percorso. Mi sono chiesto spesso cosa, nella mia quotidianità, sia davvero fonte di vita e cosa, invece, rappresenti un peso che mi svuota. Mi dà vita tutto ciò che mi fa sentire autentico, libero e accolto. Le relazioni profonde, quelle che non hanno paura di scavare nelle fragilità, sono per me una fonte inesauribile di energia. Durante il percorso, ho riscoperto quanto sia importante la condivisione sincera con gli altri: ascoltare storie di vita, raccontare la mia senza filtri, sentire che siamo tutti, in modi diversi, in cammino verso qualcosa di più grande. Mi dà vita il senso di appartenenza, sapere di essere parte di una comunità che non giudica ma sostiene. Il Vangelo della guarigione dell’emorroissa mi ha ricordato che c’è forza anche nelle ferite, se abbiamo il coraggio di avvicinarci a chi può aiutarci a guarire. Allo stesso tempo, mi toglie vita tutto ciò che mi allontana da me stesso e dagli altri. Le distrazioni, la superficialità, la corsa a riempire ogni vuoto con cose che, alla fine, non hanno davvero valore. Durante il percorso, ho riconosciuto che spesso cerco di guarire le mie ferite in modi sbagliati, affidandomi a soluzioni temporanee che finiscono per peggiorare la situazione. La paura di non essere all’altezza, di fallire o di deludere chi mi sta accanto è un peso che porto spesso e che, se non gestito, mi immobilizza. Ho capito che ciò che mi dà vita è anche ciò che mi avvicina a Lui. La preghiera, il silenzio, il servizio agli altri: sono questi i momenti in cui sento il flusso di energia positiva dentro di me. Sono le piccole cose, i gesti semplici e sinceri, che mi fanno ricordare chi sono veramente e quale sia il mio posto nel mondo.
Un’immagine che mi è rimasta particolarmente impressa è stata quella di Rocky Balboa, simbolo di resilienza e coraggio. Mi sono rivisto in lui, nei suoi pugni incassati, nelle sue paure, ma anche nella sua capacità di rialzarsi e trovare motivazioni profonde. Durante una delle attività, ci è stato chiesto di riflettere sulle nostre paure e di confrontarci su cosa ci spinge a superarle. È stato un momento molto intenso, perché mi ha aiutato a dare un nome a quei sentimenti che spesso mi bloccano e a capire quali sono le mie motivazioni più vere.
La condivisione con gli altri partecipanti è stata una parte fondamentale del percorso. Non eravamo solo un gruppo di giovani, ma una piccola comunità in cui si sono intrecciati legami profondi. Confrontarmi con le storie e le esperienze di chi era lì mi ha aiutato a vedere le mie difficoltà sotto una luce diversa. Ho percepito che non ero solo e che, anche nelle ferite, c’è una forza che ci unisce.
Alla fine del percorso ci è stato consegnato un gomitolo di lana, un simbolo che porto ancora con me. È un piccolo promemoria quotidiano del cammino fatto, del coraggio che ho trovato e della gratitudine che provo per tutto ciò che ho ricevuto. Più di tutto, mi ha insegnato a vivere “di pancia”, a lasciarmi toccare dalla vita e a trovare bellezza anche nei momenti più difficili.
Questo “itinerario di guarigione affettiva e spirituale” mi ha donato tanto: mi ha messo a disagio e mi ha fatto sentire a casa, mi ha costretto a guardare aspetti di me che da tempo rifiutavo di affrontare, mi ha fatto comprendere la differenza tra essere guarito ed essere salvo. Non finirò mai di ringraziare i frati e le suore del centro vocazionale per avermi, ancora una volta, fatto uscire dalla mia zona di comfort. Grazie a questi percorsi sto crescendo molto, mi sento una persona migliore e più bella per gli altri. Vivere “di pancia” è l’impegno che porterò con me, insieme alla parola sul mio bigliettino: “Preghiera” e al mio gomitolo blu elettrico. Ringrazio Lui, per avermi riconfermato il mio posto nel mondo. CHE SOGNOOOO! DA MO VALE!
Gabriele Abbatepaolo