Carpino: un piccolo centro urbano di origine medievale nel cuore del parco del Gargano, uno di quei posti di cui non conosci l’esistenza fin quando non lo raggiungi, dove, se cammini per strada, non passi certo inosservato, anzi hai sempre la sensazione di essere costantemente osservato. Un forestiero si riconosce subito, perché in paese tutti si conoscono tra loro, dato il numero ridotto degli abitanti. Questi si sono raccolti come una cornice nel quadro della missione organizzata dal centro vocazionale, nei giorni di preparazione alla vestizione religiosa di Antonio Coccia.
Poco si conosce della figura di un frate, rara è la sua presenza qui, rara come occasioni del genere. Ovviamente la notizia del nostro arrivo, non ci ha messo molto a divulgarsi. Di questo positivo riscontro ho preso consapevolezza non solo dalla nutrita partecipazione ai vari momenti di preghiera, ma anche dallo sguardo e dall’atteggiamento incuriosito dei fedeli presenti che mi hanno ricordato lo stesso entusiasmo di un bambino che scopre il circo per la prima volta quando arriva in città.
Di queste giornate, sono varie e sovrapposte le emozioni provate, specie per chi come me ha affrontato per la volta questa esperienza, dove la difficoltà più grande è stata quella di spogliarsi dalle proprie inibizioni e dalla riservatezza, non adatta certo all’occasione, come il condividere l’alloggio con una persona estranea, che però dopo aver rotto il ghiaccio iniziale, ti sembra di conoscere da sempre. Una famiglia, quella di Antonio, che non ci ha fatto mai mancare nulla. Una famiglia che ha aperto le porte della casa e allo stesso tempo del loro cuore, quella casa che profuma di carità cristiana e che ti trasmette il valore della fraternità e della comunione e che, sono sicuro, abbia contribuito notevolmente alla scelta di vita di Antonio.
“Un coltello che affonda nel burro del pregiudizio”: così definirei quest’avventura. Quel pregiudizio che ti accompagna, quando decidi di partecipare a una simile esperienza in cui devi fidarti e affidarti completamente e senza nessuna aspettativa a Dio e a chi ti accompagnerà, senza conoscere quello che sarà, chi incontrerai e soprattutto come ritornerai. È il ritorno infatti la parte più importante. Solo allora realizzi, ritornando al quotidiano, che molto di te è cambiato. Anche solo in parte, ma sei comunque riuscito a sbrogliare molti di quei fili della matassa del discernimento, risultato di una preghiera intensa e senza le contaminazioni della routine, utili non solo a chi sceglie di intraprendere un cammino vocazionale ma anche per chi ha ancora difficoltà a trovare la propria strada o il proprio posto nel mondo.
Questo è il mio personale risultato raggiunto grazie a questa missione, il primo di un lungo cammino dove l’unica certezza è che la tua vocazione, qualsiasi essa sia, è il segno di quanto sei importante agli occhi di Dio. Per citare Don Tonino Bello: “è il suo indice di gradimento, perché se ti chiama vuol dire che ti ama”. Ad Antonio, alla sua famiglia e ai suoi amici, ai carpinesi, ai miei compagni di avventura e ai frati del Centro Vocazionale della nostra Provincia religiosa, esprimo la mia immensa gratitudine, nel ricordo di questa missione, per questo obbiettivo raggiunto.
di Davide Acquaviva