Abbandono, fedeltà, gratitudine con speranza

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità.” (Ef 1,3-4)

Vorrei partire consapevolmente proprio con queste parole dei San Paolo che la liturgia mi ha donato nel giorno della consacrazione presbiterale. Benedico Dio per il dono immenso del sacerdozio, il quale nella sua benevolenza a voluto riversare nella mia vita. Un dono che già da tempo e prima che io effettivamente mi accorgessi e avessi il coraggio di accoglierlo, era lì per me in me, per ampliare il mio essere dono per tutti.

Posso riassumere il monito dell’ordinazione in tre parole guida. La prima è abbandono, poi fedeltà e in fine gratitudine con speranza.

Abbandono in quanto è la parola attraverso la quale dovevo assumere un atteggiamento fondamentale per preparare il cuore soprattutto negli ultimi due giorni prima per vivere al meglio il momento della consacrazione. Un abbandono che ha assunto vari gradi di profondità negli ultimi giorni. Infatti era ormai il 4 gennaio, alba del nuovo anno e tutto ormai era pronto per la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo della diocesi di Andria, Canosa e Minervino. Fervono gli ultimi preparativi e nel mio cuore si fa spazio la consapevolezza che ho solo un’ultima cosa da fare, abbandonarmi. Non un banale “ok fai Tu…”, ma un abbandono dal sapore di una resa totale. Potrei definire questo stato con le parole dell’apostolo Pietro: “Signore tu sai tutto, tu sai che ti amo”. (Gv 21) Un abbandono non solo del corpo e della mente, e quest’ultima ancora da sgomberare da tante cose inutili, ma ancora più profondamente del cuore, intendo pero quella parte del cuore più profonda accessibile solo allo sguardo misericordioso di Dio. Percepire infatti, profondamente questo sguardo di misericordia ha reso possibile vivere un atteggiamento di totale libertà da me e dalle mie paure, e povertà personali, dimodoché la grazia di Dio potesse prendere possesso e dimorare in me. Dovevo solo salire sulla barca e lasciarmi condurre dal Padre per solcare un mare infinito verso un orizzonte senza confini.

Erroneamente pensavo tra me, certamente, in questi giorni sono piuttosto pronto, ho vissuto tempi di formazione esercizi spirituali tempi di preghiera personali e tutto quanto concerne il percorso per il sacerdozio. Avendo usufruito inoltre anche del sacramento della riconciliazione il quale è stato come balsamo per il mio cuore un poco in affanno per le tante cose da badare. Inoltre mi dicevo “non sono neanche un consacrato appena sfornato” visto che già dieci anni fa ho emesso la professione perpetua dei voti religiosi. Senza considerare tutta l’esperienza del quotidiano, delle obbedienze, ecc. Eppure mancava qualcosa. Dovevo attraversare l’abbandono perché tutto di me potesse essere favorevole all’accoglienza della grazia del dono di Dio la quale aveva necessita di trovare un cuore sgombro da tante vanità per depositarvi il dono.

Un secondo momento importante l’associo alla parola fedeltà. Focalizzando i vari momenti della celebrazione il momento in cui ho potuto constatare effettivamente con tremore la fedeltà di Dio, il quale è il solo fedele alle promesse, è stato quando completato il rito di ordinazione con l’implosione delle mani da parte del vescovo, mi sono rivolto frontalmente verso l’assemblea. In poco più di un istante ho focalizzato in maniera nitida i volti delle persone presenti, i miei genitori le sorelle i nipoti gli amici i ragazzi i confratelli il parroco e tanti altri volti, suscitando in me la memoria viva fatta di gesti, momenti, esperienza condivise, parole incontri avvenuti con loro lungo il corso della mia storia vocazionale e non solo.

Ogni singolo volto rappresentava per me in quel momento una sfumatura di colore che nell’insieme stavano componendo il dipinto di un’opera d’arte unica. In quel momento ho percepito fortemente nel cuore la sensazione di aver camminato con il Signore e sperimentato la sua presenza in ogni singolo punto della storia. Mi sono sentito accompagnato per mano dal Padre e una parola risuonava in “Non temere io sono con te”. Ero in quel istante conscio che dovevo “togliermi i sandali” e contemplare quel roveto che arde e non brucia perché la mia storia come le storie di vita di ogniuno è sempre una terra sacra abitata e benedetta da Dio.

Il sentimento che ha prevalso in quel momento è stato prevalentemente stupore, gioia e un senso di timore per qualcosa che va oltre le mie capacità intellettive. Dovevo solo riconoscere e rileggere la mia storia con lo sguardo da figlio e da povero che tutto riceve in dono.

Ultimo passaggio è lego alla parola gratitudine profonda che è associata con la parola speranza. Conseguente a tutto ciò che pocanzi ho descritto, come una cascata la gioia, la pace e la gratitudine profonda hanno pervaso il mio cuore, non solo perché per grazia di Dio lui mi ha ritenuto degno di ricevere questo dono grande a favore dei fratelli e della Chiesa, piuttosto perché ho percepito e radicato ancora di più in me la consapevolezza che c’è un Padre che non può far altro che amarmi e stringermi a e se nel Figlio Gesù, e continua a sussurrarmi nel profondo “Tu sei Figlio mio l’amato in te mi compiaccio”. (Lc 3, 20)

Inoltre la speranza era plasticamente rappresentata sull’sfondo dell’altare della parrocchia del SS. Sacramento ad Andria con una porta aperta verso un orizzonte abitato dal bambino Gesù. Una frase scritta su un lato di questa diceva “la speranza si è fatta carne”, in riferimento all’anno giubilare appena iniziato. Ritengo che sia veritiero e auspicabile che la grazia del ministero sacerdotale sia speranza per le persone che in qualche modo la grazia di Dio mi porrà accanto in quanto spero possano sperimentare in qualche modo, nonostante attraverso un mezzo povero quale sono, la bellezza del volto del Padre e in qualche modo essere spettatore e mediatore tra il Padre che cerca i figli e i figli che anelano l’abbraccio del Padre.

Sono convito che questo giorno non posso considerarlo come un arrivo o una meta personale, sarebbe un errore, ma lo vivo come uno stato di partenza, per portare la bellezza del Padre in ogni istante della mia vita. “Da ora vale”.

Non posso by-passare un pensiero che in questi giorni è vivo in me, in riferimento al fatto che la mia storia vocazionale è racchiusa tra le parentesi di due anni Giubilari. Venticinque anni fa durante il giubileo del duemila San Giovanni Paolo secondo vibrava nella spianata di Tor Vergata a Roma con queste parole: “Se è la Felicità che cercate è Gesù Cristo che dovete trovare”. Da lì è partita la mia ricerca della vera felicità che non tramonta mai e non delude, incontrare il volto di Cristo nella mia vita. In questo anno caratterizzato dall’anno giubilare dopo appunto venticinque anni ancora di più incrocio il suo sguardo di Cristo che e mi dice ancora “Vieni dietro a me, ti farò pescatore di uomini”. (Mc 1, 17-18)

In conclusione a chi mi ha incontrato e mi incontra in questi giorni dico sinceramente di aiutarmi a essere sacerdote per voi, non per me, perché questo dono non posso trattenerlo. Infatti rimane vitale e pulsante e fruttuoso solo se continuamente donato.

Pregate per me! Il Signore vi benedica e vi dia pace.

Fra Gianfranco Rella, OFM