In ascolto della parola

Domenica 4 Giugno - Santissima Trinità

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,16-18)

Dio ha mandato il Figlio suo perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Commento

Dio non condanna l’uomo. Celebriamo questa domenica la solennità della Santissima Trinità, in poche parole potremmo dire che si tratta della festa di Dio, anche se questo ci suona strano in quanto la festa di Dio dovrebbe essere ogni giorno. Ogni giorno dovremmo far festa lodandolo e ringraziandolo per il semplice fatto di esistere e non per motivi futili e periferici. Le letture odierne, più che soffermarsi sulla Trinità, sulla dimensione del misero, nella cui piena comprensione di fatto ci riesce impossibile entrare, si soffermano invece su ciò che caratterizza il nostro Dio uno e trino ovvero: l’amore. Se la dimensione trinitaria di Dio può sembrarci astratta e di difficile comprensione, l’amore invece ci aiuta a cogliere ciò che caratterizza Dio e ciò che deve caratterizzare la vita di ciascuno di noi. Possiamo quindi dire che oggi celebriamo la festa del Dio-amore; ciò può sembrarci alquanto banale, ma in realtà non lo è perché ci aiuta a spazzare via l’immagine del Dio tiranno, che frequentemente invochiamo, pronto a condannare l’uomo o coloro che gli affidiamo per i torti ricevuti.

L’immagine di Dio-amore, proprio per eliminare l’idea distorta di Dio che abbiamo, attraversa tutte le letture odierne. La prima lettura ci mostra un Dio che nonostante la rottura dell’alleanza da parte di Israele con la costruzione del vitello d’oro, scende dalla nube, si avvicina a Mosè e quindi all’uomo, non per condannarlo ma per manifestarsi “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”. Sulla stessa “frequenza” del Padre, resta il Figlio dopo la risurrezione: non dimentichiamoci che le prime parole di Gesù rivolte ai discepoli chiusi nel cenacolo, nonostante lo credessero morto e non risorto, nonostante nel loro cuore albergassero più sentimenti di fallimento che di vittoria, non furono di condanna ma di amore: “Pace a voi”. Anche Paolo, nella seconda lettura, esorta la comunità di Corinto alla gioia, alla pace, alla comunione fraterna, a fare loro l’amore di Dio. Tracce di un Dio tiranno da imitare, anche qui non ce ne sono.

Infine, per togliere ogni dubbio l’evangelista Giovanni, nel Vangelo di questa domenica, attraverso le parole che Gesù rivolse a Nicodemo, ci ricorda che “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” e che in realtà chi condanna l’uomo è l’uomo stesso, nella misura in cui non crede in Dio; in altre parole, ciò avviene nel momento in cui, in pieno libero arbitrio, baratta l’amore con l’egoismo e invoca il Dio della condanna. Abbiamo invece ricevuto un grande invito: “benedite e non maledite” e la comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sarà realmente piena. 

Commento a cura di Fra Marco Valletta